…E SI SPENSERO LE FIABE

E SI SPENSERO LE FIABE






















































(Gmajo) – “E si spensero le fiabe” è il primo libro di poesie che mia madre Leide Chiari ha pubblicato (Tipolitografia Benedettina Editrice, Parma) nel 1986, dedicandolo a me e a mio fratello Massimo: “Ai miei figli per non lasciarli mai”.

“Sono Leide CHIARI – si legge nella introduzione, nata a Gattatico (RE) il 21.1.1928. Ho cominciato a scrivere <poesie> all’età di quindici anni, poi, per tanto tempo nulla più ho scritto, presa da pressanti impegni di lavoro e di famiglia. 

Improvvisamente poi nel 1977 ho ripreso a scrivere quasi per una necessità impellente di liberazione, di sfogo e soprattutto per rendere più concreto ciò che il cuore continuamente mi suggerisce di sogni, di ricordi, di sentimenti lieti o tristi e di sofferte meditazioni esistenziali.

E così scrivo nella maniera più semplice e chiara possibile, perché, come insegnante conosco il valore della chiarezza e della semplicità.

Trasmetto, o vorrei, al cuore degli altri i moti del mio cuore, paga se accendo un sorriso od anche un sospiro di compartecipazione, perché, credo, la vita ha un senso solo se condivisa con gli altri”.

La prefazione è a firma della Dott.ssa Amelia Mambriani-Ferrari:

“In questa raccolta di poesie, la poetessa Leide Chiari si racconta in un crescendo di accenti schietti ed altamente lirici così da far vibrare i sentimenti, come vibrano le corde di uno strumento al tocco sapiente delle dita del maestro.

Le parole si rincorrono in struggenti immagini che tradiscono le angosce di un momento, di una situazione.

Sono note che giostrano in una sinfonia penetrante che pervade l’intima essenza di chi le ascolta e le fa sue.

L’abbandono lirico, ora sensuale ora quasi religioso, rivela la solitudine interiore e la ricerca di amore di un animo romantico che sembra non trovi pace.

I rosei albori, le verdi speranze, gli entusiasmi della vita, allora sfumano in grigi crepuscoli, in crude realtà, nel disfacimento delle cose (“…e la rosa si spetala…”).

La natura è nell’uomo, ma egli non è solo natura.

Così la sete d’infinito, il desiderio dell’eterno scuote con ritmo incessante lo spirito stanco, deluso e ripiegato in un compiacimento di morte, a risvegliarsi dal cupo torpore, a trascendere i limiti del nero orizzonte, a cercare nuove speranze, nuove immagini di vita”.